L’Italia entra formalmente nella Fase 3, dopo 2 mesi durissimi di privazioni e contenimento di un virus sconosciuto e temibile. Abbiamo tutti bisogno di una normalità ritrovata; di ritornare a respirare, ad uscire; a ritrovarci con amici e persone care; a camminare e stare in mezzo alla natura - quella stessa natura che, in piena esplosione primaverile, abbiamo visto risvegliarsi dalle finestre di casa nostra durante il lockdown.

Eppure cosa possiamo ancora definire “normale” dopo questi 60 giorni in cui tutto è cambiato? Sono cambiate le nostre abitudini, il nostro modo di percepire gli spazi, i nostri consumi, le attenzioni e le priorità. Ritornare alla normalità così come la concepivamo prima del 9 Marzo sarà quindi dura e, forse, nemmeno possibile.

Non tutte le crisi però vengono per nuocere, anzi. Gli shock che seguono a periodi come quello che stiamo vivendo ora, con misure restrittive adottate in molti Paesi per contenere la diffusione del COVID-19, possono essere il momento giusto per ripartire, dare più slancio e indirizzare le nostre scelte verso qualcosa di diverso e - si spera - migliore.

Pensiamo alle foreste: abbiamo scoperto che senza una loro gestione responsabile, saremo sempre più vulnerabili agli effetti del climate change. Abbiamo imparato a capire che senza una loro salvaguardia, salti di specie e zoonosi - le malattie infettive che arrivano dagli animali - saranno sempre più frequenti e sempre più impattanti sulla salute dell’uomo. Abbiamo assistito increduli all’avanzata inarrestabile della deforestazione, che secondo l’INPE, l’istituto di ricerca spaziale nazionale brasiliana, ha raggiunto i livelli più alti mai registrati proprio durante durante questo periodo. Tutto questo mentre la FAO, attraverso il nuovo Global Forest Resource Assessment, ci dice che dal 1990 ad oggi abbiamo già perso 178 milioni di ettari di foresta - un’area delle dimensioni della Libia.

Per fermare tutto questo avremo bisogno di maggiore gestione sostenibile; di strategie votate alla resilienza; di filiere capaci creare e redistribuire valore ad ambiente e comunità. In altre parole, dovremo saper cambiare. La domanda dunque è: a quale “normalità” aspiriamo veramente?