
Che ci fosse un collegamento diretto tra deforestazione, biodiversità e nuove epidemie è noto da decenni: degradando o cambiando l’uso di aree forestali si accelerano processi di estinzione o migrazione di alcune specie - mentre quelle che hanno maggior capacità di adattamento e resistenza, come ratti e pipistrelli, diventano vettori di patogeni trasmissibili attraverso il contatto alle persone.
Ricerche precedenti hanno dimostrato che i focolai di malattie come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e l'influenza aviaria, che si trasmettono dagli animali all’uomo, sono aumentati negli ultimi decenni come risultato diretto di un maggiore contatto tra esseri umani, fauna selvatica e bestiame. Ad esempio, uno studio condotto dall’università californiana di Stanford ha scoperto che deforestazione e frammentazione degli habitat forestali in Uganda hanno aumentato i contatti diretti tra primati e persone: questo perchè i primi si sono spinti fuori dalla foresta alla ricerca di cibo, mentre i secondi si sono addentrati in queste aree per raccogliere legna.
In un’altra pubblicazione, sono stati raccolti più di 3.2 milioni di casi da diverse centinaia di studi ecologici in siti in tutto il mondo, spaziando dalle foreste, ai terreni coltivati e alle città; analizzando questi dati, i ricercatori hanno scoperto che il numero delle specie note come vettori di malattie trasmissibili all'uomo - tra questi, 143 mammiferi come pipistrelli, roditori e vari primati - aumentava con il cambiamento del paesaggio da naturale a urbano, e con la conseguente diminuzione della biodiversità.
Fermare la deforestazione quindi può ridurre la nostra esposizione a nuovi disastri, ma contribuisce a limitare anche la diffusione di una lunga lista di altre malattie derivate dagli habitat della foresta pluviale, tra cui Zika, Nipah, malaria, colera e HIV.
Oltre a trovare soluzioni immediate come vaccini o cure, il prossimo passo è quindi esaminare la probabilità di trasmissione della malattia alla popolazione umana: esistono già alcuni lavori di questo tipo, effettuati per le epidemie di virus Ebola in Africa, in cui sono state create mappe di rischio basate sulle tendenze di sviluppo, la presenza di probabili specie ospiti e fattori socio-economici che determinano il ritmo con cui un virus potrebbe diffondersi una volta trasmesso alla popolazione.
Questa analisi permette di individuare le aree dove intervenire, con piani di prevenzione che comprendano non solo il lato ambientale, ma anche quelli sociali ed economici, comprendendo e progettando i rischi sulla base delle relazioni tra fattori quali uso del suolo, clima e biodiversità. Il primo, inderogabile passo rimane tuttavia la definizione di strategie di utilizzo sostenibile delle risorse per evitare l’insorgere di nuove pandemie, attraverso un approccio olistico, che ricomprenda questioni di salute pubblica, ambiente e sviluppo sostenibile.