La produzione agricola è la principale causa diretta di deforestazione e degrado delle foreste nei Paesi tropicali: secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, il comitato scientifico sui cambiamenti climatici istituito dalle Nazioni Unite, la fornitura pro capite globale di oli e carne è più che raddoppiata dal 1961 ad oggi, con importanti implicazioni per le foreste.

Il documento The urgency of action to tackle tropical deforestation - Protecting forests and fostering sustainable agriculture, pubblicato da IDH, riporta l'urgente necessità di agire per ridurre l’impronta ambientale di 8 commodities (olio di palma, soia, manzo, cacao, caffè, gomma, polpa di legno e carta, legname tropicale) in 12 mercati europei e in 7 Paesi produttori.

Commodities and carbon footprint

Nonostante l'area forestale mondiale sia diminuita dal 31,6% al 30,6% tra il 1990 e il 2015, il ritmo delle perdite è rallentato negli ultimi anni. Alcuni nuovi fenomeni si stanno tuttavia delineando, modificando fattori quali la biodiversità, e con conseguenze lungo le filiere.

Innanzitutto si stanno spostando gli hotspot della deforestazione: se nel 2002 il Brasile e l'Indonesia rappresentavano il 71% della perdita di foresta tropicale primaria, nel 2018 questo dato si è ridotto a meno della metà del totale. Paesi come Colombia, Costa d'Avorio, Ghana e Repubblica Democratica del Congo sono ora le aree dove si registrano i maggiori record negativi: ad esempio, nell'Africa sub-sahariana la deforestazione è aumentata del 33,9% nel solo 2017, con impatti soprattutto sulle foreste primarie; inoltre, sei dei primi dieci Paesi tropicali che hanno registrato il maggiore tasso di perdita di foreste tra il 2017 e il 2018 sono africani.

L’altro fattore importante è che, sempre più, questa perdita è direttamente collegata alla produzione di commodities. A tagli illegali, piantagioni selvicolturali create a scapito di foreste naturali e pratiche slash and burn (una tipologia di attività agricola che prevede il taglio e la combustione di piante in una foresta o bosco per creare terreni coltivabili), si è sommato negli ultimi anni l’aumento di richiesta di prodotti come cacao e palma da olio, e la pressione quindi esercitata sulle foreste dalla domanda di queste tipologie di prodotti.

Italy carbon footprint

I Paesi europei importano una quota significativa della domanda globale di materie prime agroforestali; queste materie prime (soprattutto olio di palma, gomma, cacao, caffè e legno tropicale) alimentano la domanda di consumo e le grandi industrie di trasformazione. I dati contenuti nel report di IDH dimostrano che, in media, le emissioni da deforestazione prodotte da queste importazioni rappresentano il 50% delle emissioni agricole nazionali nei 12 Paesi europei presi in esame; tuttavia, l’approvvigionamento di queste commodities da filiere sostenibili potrebbe far risparmiare quasi mezzo miliardo di tonnellate di CO₂ nel prossimo decennio.

Un segnale positivo arriva dal settore forestale e dalla produzione di legname tropicale sostenibile, che interessa oggi 30 milioni di ettari. Grazie a questo incremento, il 25-32% dei principali prodotti legnosi tropicali importati nell'UE è ora accompagnato da certificazione di filiera sostenibile.

Per quanto riguarda l’Italia, le tre maggiori materie di importazione risultano essere palma da olio (1.3 milioni di tonnellate/anno), polpa di cellulosa (3.3 milioni, con importazioni soprattutto da Brasile, USA e Svezia) e soia (3.5 milioni). Il legno tropicale, nel quinquennio preso in esame (2011-2016), si attesta sulle 224.000 tonnellate/anno, con un trend negativo di -5.8%.