Complici anche le condizioni meteorologiche, i dati sullo stato dell’aria nella Pianura Padana stanno occupando le prime pagine dei giornali, in una classifica che conosce solo tristi primati: domenica scorsa infatti l’aria di Milano è risultata la terza peggiore al mondo, preceduta solo da Dacca e Lahore, ed è stata classifica come “non salutare”.

Sempre a Milano, la concentrazione rilevata di Pm2.5 (le cosiddette ‘polveri fini') ha superato di oltre 29 volte il valore fissato dall’OMS; non se la passano meglio altri centri come Mantova, Monza, Cremona e Padova, in cui le autorità hanno diramato una serie di avvertenze come evitare lo sport all’aperto, limitare il ricambio di aria nelle abitazioni e nelle case (a meno di non disporre di un purificatore), dotarsi di mascherina durante gli spostamenti.

Le cause di questa ondata di ‘malaria’ sono molteplici; eppure tutte concorrono, ad intervalli più o meno regolari, a determinare ciclicamente questa situazione. Sicuramente la conformazione oro-geografica del bacino del Po, chiuso tra Alpi e Appennini, con poco vento e pochi sfoghi. Sicuramente i trasporti - l’International Energy Agency riporta a questo proposito un aumento delle emissioni globali di CO2 causate da questo settore del 3% tra 2021 e 2022). Certamente il ricorso a sistemi di riscaldamento vecchi o poco manutentati: nel report 2022 “Malaria di città” Legambiente sottolinea come in Italia il riscaldamento degli spazi domestici sia responsabile del 64% delle polveri sottili e del 53% delle Pm10 emesse. “In Italia è ancora attivo un imponente parco di generatori vetusti che ostacola un’ulteriore accelerazione del processo di miglioramento della qualità dell’aria” ha confermato in un’intervista Annalisa Paniz, Direttrice generale dell’Associazione italiana energie agroforestali (Aiel), riferendosi allo stato dei sistemi di riscaldamento a biomassa nel nostro Paese.

Ancora più allarmante il dato che deriva dalle analisi fatte sugli allevamenti intensivi, che sarebbero responsabili (assieme al già citato riscaldamento) addirittura del 54% delle Pm2.5 emesse (il dato è di Greenpeace). A completare il quadro cicli di bassa pressione e assenza di vento e piogge (a poco sono serviti gli acquazzoni del weekend scorso), che hanno trattenuto al suolo questa miscela letale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha confermato ormai da tempo che l’inquinamento atmosferico è responsabile di malattie polmonari e cardiache, cancro ai polmoni e infezioni alle vie respiratorie, ed è causa di oltre sette milioni di morti premature ogni anno in tutto il mondo. Seppur più contenuto, il dato italiano non è meno spaventoso: 52.300 morti premature e il rank peggiore di tutta Europa.

Anche se le notizie più allarmanti sono di queste ultime settimane, il problema dell’inquinamento atmosferico nella Pianura Padana non è affare recente, e già da tempo amministratori locali e regioni hanno cercato di porvi un rimedio, incentivando ad esempio il rinnovamento dei sistemi di riscaldamento, favorendo la mobilità dolce o condivisa, avviando programmi di compensazione o stock della CO2 emessa; tra questi ultimi ovviamente il ricorso alla creazione di nuove foreste e conservazione delle esistenti. Ed in effetti gli alberi possono contribuire in molti modi a mitigare gli impatti negativi delle attività umane, a partire proprio dall’assorbimento e stock dell’anidride carbonica attraverso il processo di fotosintesi. Come sottoprodotto di questo processo poi, le piante producono ossigeno, contribuendo a mantenere adeguato il livello di ossigeno nell’atmosfera.

È anche vero che le foglie delle piante e gli alberi possono agire come potenti filtri naturali, trattenendo le particelle presenti nell’aria; con la pioggia, questi inquinanti vengono lavati via e dispersi a terra. E ancora: l’ombra portata dalle chiome diminuisce il rischio di picchi di inquinanti nocivi come l’ozono portati dalle giornate più calde. In questo è fondamentale ad esempio l’azione dei boschi urbani, che fungono non solo da luoghi di ristoro e svago, ma anche come potenti polmoni in grado di migliorare la qualità dell’aria. Ovviamente non tutti gli alberi hanno la stessa capacità di filtraggio, che dipende da fattori come dimensioni della chioma e delle foglie.

Gli 8-10.000 ettari di bosco attualmente censiti nella Pianura Padana rappresentano però un’esigua parte dell’immensa distesa verde che occupava queste aree 2.000 anni fa, e risultano del tutto insufficienti come soluzione one fits all nel contrasto all’inquinamento atmosferico. A maggior ragione se, come risulta da dati ISPRA, i livelli di emissioni di gas serra, espressi in CO2 equivalente, sono diminuiti del 20% tra il 1990 e il 2021 e addirittura tornati a crescere dopo il 2021.