Sono i primi giorni di Febbraio, e ci mettiamo in marcia con l’auto da Padova decidendo di prendere la strada più lunga, direzione Trentino, e più nello specifico Valle dei Mòcheni. Da un mese infatti la strada migliore, quella che dalla città del Santo corre dritta dritta fino a Bassano del Grappa per poi tuffarsi nella valle del Brenta, è resa inagibile da una frana che ha bloccato strade e ferrovia della Valsugana.

Chissà, forse avremmo preso comunque la strada più lunga per avere il tempo di acclimatare occhi e orecchie al posto che andremo a visitare, 2.500 abitanti e 64km2 silenziosi e poco conosciuti nel Trentino centro-orientale, attorniati nella parte occidentale dal gruppo del Lagorai. Difficilmente leggibili perché qui i secoli e la vita si sono stratificati come il porfido che compone le montagne circostanti e che è stato scavato, assieme a rame, argento, piombo e quarzo a partire dal 1400. Incomprensibile ai più perché da queste parti si parla ancora una lingua di origine germanica - il mòcheno, appunto - che ha sue regole e desinenze.

Per aiutarci nella missione non semplice di raccontare questa valle e i suoi boschi ci facciamo aiutare da Paola Barducci, dottoressa forestale, libera professionista, nata a Firenze ma ormai trapiantata da oltre 20 anni in Trentino. La incontriamo in centro a Sant’Orsola, un paese di 1.200 persone a 10 km da Pergine Valsugana. “I miei amici in valle mi chiamano Forest Paola perché sono forèsta, cioè vengo da fuori, e perché sono una forestale”.

E Paola è sì una forestale, ma una forestale sui generis - e non solo perché oltre a seguire la sua professione è anche divulgatrice, raccontando ciò che fa e vede attraverso i suoi canali Instagram e Facebook, accompagnatrice di media montagna e promotrice di un progetto per il recupero dei saperi antichi legati all’utilizzo della resina di larice. È anche quel tipo di persona (e non ne esistono tantissime al mondo) a cui brillano gli occhi quando parla del proprio lavoro, ed in particolare dei boschi.

Forest Paola in studio con i colleghi forestali
© Elettra Gallone / FSC Italia

“Ho uno stretto legame con la montagna, e di conseguenza anche con il bosco” ci racconta mentre, lasciate le macchine, ci addentriamo per un sentiero sopra Baita Cavecia, appena fuori dal centro di Sant’Orsola. “Quando dovevo scegliere di iscrivermi all'università, volevo iscrivermi a matematica per andare a fare l‘insegnante. Sono arrivata davanti alla segreteria, mi sono guardata intorno e alla fine ho sentito che non era la scelta giusta. Allora ho girato un po' di segreterie e sono arrivata a quella di Scienze Forestali e lì ho sentito che l’attrazione era molto più forte, vedevo persone più simili a me”.

Il bosco in cui ci troviamo è un lariceto, che sembra naturale ma che in realtà, ci assicura Paola, è una creazione dell’uomo. Quest’area, come altre da queste parti, è stata utilizzata fino al secolo scorso per il pascolo degli animali favorendo il larice che, a differenza di altre conifere, perde gli aghi nella stagione fredda e permette quindi all’erba sottostante di crescere nei mesi primaverili-estivi. I boschi però sono ecosistemi in continuo divenire e, venendo meno l’attività di pascolo, questo lariceto si sta pian piano modificando, dando nuovamente spazio a specie come abete rosso, faggio e pino silvestre.

Paola conosce questi boschi come le sue tasche: nel 2008 assieme al marito e ad una collega ha aperto uno studio associato che si occupa di pianificazione forestale:”ci occupiamo principalmente di pianificazione e di quelli che vengono chiamati ora piani di gestione forestale aziendale (documenti di programmazione e gestione degli interventi selvicolturali, ndr). Iniziamo generalmente con la confinazione, poi andiamo a vedere il bosco, che caratteristiche ha, da quali specie è composto…Sulla base di questi rilievi, la Provincia ci dà poi delle aree di saggio da elaborare, che servono per determinare quanto cresce il bosco e produrre una stima del volume di materiale disponibile”. È su questi dati, aggiornati con cadenza regolare, che le autorità locali deliberano poi le attività di gestione, come i diradamenti e i prelievi, “perché non si taglia mai più di quanto cresce - ci tiene a puntualizzare Paola - È un esercizio di economia: non si va mai ad intaccare il capitale, ma si lavora solo sull’incremento”.

 

 

L’economia del bosco per il bene della comunità in queste zone è qualcosa di radicato e forte, e ancora oggi nella Provincia di Trento il 70% delle proprietà forestali è pubblica; istituzioni collettive come gli usi civici, nate nel Medioevo per garantire il sostentamento delle popolazioni locali, svolgono qui e in altre aree lungo la Penisola attività fondamentali di gestione e presidio delle risorse naturali. Hanno funzionato per secoli, ma possono tenere il passo con le grandi trasformazioni a cui stiamo assistendo, primi tra tutti gli effetti del cambiamento climatico?

In termini di danni stimati, il Trentino ad esempio è stata la terza regione più colpita da Vaia, l’evento metereologico estremo che a fine Ottobre 2018 ha interessato con pioggia e venti tra i 100 e i 200 km/h ampie parti del nord-est. Dopo questa catastrofe, i boschi indeboliti sono stati oggetto di attacco di parassiti, tra cui l’Ips typographus, un coleottero che attacca principalmente l’abete rosso: secondo i dati del Servizio Foreste e Fauna della Provincia di Trento per il periodo 2019-2022 i danni attribuibili a questo insetto conosciuto ai più come bostrico sono equiparabili alla metà di quelli provocati dal passaggio della tempesta.

“Sembra che noi forestali facciamo sempre lo stesso lavoro, ma per noi adesso la sfida è ragionare su queste grandi tematiche, che sono anche legate al cambiamento climatico; studiare il sistema migliore per rendere questi boschi più stabili di fronte non solo agli eventi climatici estremi, ma anche agli attacchi patogeni”. Più in generale, si tratta di trovare un nuovo equilibrio in quello che è stato il rapporto millenario delle persone con la Natura, e ridefinirlo tenendo conto di un’infinità di variabili, più o meno prevedibili. Fare previsioni a lungo termine è per questo tutt'altro che facile, anche perché i tempi di un bosco e di una comunità sono diversi e, per certi versi, non sovrapponibili, e ciò che vediamo oggi fra 100 anni potrebbe essere completamente diverso: “non possiamo sapere come si evolverà il clima” ci dice Paola “possiamo solo ipotizzare che attraverso tutta una serie di procedure che abbiamo attuato, i boschi possano riprendere vigore”.

Forest Paola nel bosco con il relascopio di Bitterlich
© Elettra Gallone / FSC Italia

I concetti di ‘cura’ e di ‘gestione’ sono spesso associati all’uso delle risorse naturali, e partono dalla constatazione per cui l’essere umano ha bisogno di risorse (finite e deperibili) per la vita su questo Pianeta: che si tratti di acqua, di suolo, di biodiversità o di foreste, tutto deve poter essere preso in prestito (di fatto, è così) senza che ciò arrechi danni irreparabili al sistema. Ma ‘cura’ e ‘gestione’ riconducono anche alla sfera femminile, ed è per questo che chiediamo a Paola del rapporto che lega donne e boschi: “È cambiato tantissimo, anche se mi piace ricordare che 20 anni fa, quando ho cominciato a lavorare, mi è capitato che una volta un boscaiolo mi abbia apostrofato dicendomi ‘sei come la gallina del gallo cedrone!’, intendendo sottolineare come, al pari della schiva femmina dell’urogallo, facesse strano vedere una donna nel bosco. Questo non succede più”.

Anche se le cose stanno migliorando, il quadro di indagine offerto dall’European Institute for Gender Equality (EIGE) racconta che l’Italia in quanto a equità di genere si trova ancora sotto la media europea, soprattutto per quanto riguarda partecipazione, salari e qualità del lavoro. "È vero che nelle ditte boschive ancora si trovano poche donne, ma tantissime lavorano oggi come guardie e custodi forestali. In televisione poi ci sono alcuni programmi che mostrano il settore forestale e il ruolo della donna”: il riferimento è alla serie Undercut - L’oro di legno, in cui uno dei protagonisti è proprio la boscaiola del Cansiglio Vania Zoppè. Quando chiediamo se questa rappresentazione non sia in qualche modo creata a partire da stereotipi maschili di resistenza allo sforzo e prestanza, la nostra furèsta nega:“non esiste più il boscaiolo con la camicia a quadri. Penso invece che sia un buon modo per raccontare il nostro ambito lavorativo”.

Più discutiamo, e più ci accorgiamo della forza che questo ambiente infonde in Paola, che sembra conoscerne e custodirne i più reconditi segreti: anche gli strumenti del mestiere dai nomi astrusi che ha portato con sé (cavalletto dendrometrico, relascopio di Bitterlich, martello incrementale) contribuiscono a rafforzare l’idea di qualcosa di davvero magico.

Forest Paola nel bosco bostrico
© Elettra Gallone / FSC Italia

“Il bosco mi racconta tantissime storie, anche del passato” dice ad un certo punto con una naturalezza da fare invidia - la stessa invidia che si prova quando qualcuno vede ciò che la maggioranza non riesce. Uno di questi racconti è relativo all’uso della resina: aggirandosi per i boschi del Trentino, Paola ha notato dei tappi alla base di molti larici e ha scoperto che in passato ogni famiglia qui aveva un proprio albero da cui estrarre la resina per creare in casa unguenti e medicamenti. “Mi dispiaceva moltissimo che si perdesse questa tradizione”, e così in collaborazione con un comune della valle ha creato un progetto e deciso di bucare nuovamente 12 larici: il liquido estratto ogni anno viene oggi dato per piccole produzioni artigianali ad aziende della zona.

Ma questa è solo una delle mille cose che Paola sa del bosco. Trovate il resto nelle sue stories, nella sua newsletter, nelle sue passeggiate e trekking, nei suoi laboratori e nelle attività estive per bambini e ragazzi che propone.